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P R O G E T T I . E . R E A L I Z Z A Z I O N I . M U S E A L I
MUSEI DIOCESANI E TERRITORIO. LITURGIA, PIETA' POPOLARE E TERRITORIO: PROBLEMI DI CONTESTUALIZZAZIONE MUSEOGRAFICA


in Imprenditoria culturale e gestione dei musei ecclesiastici, atti del convegno tenutosi a Roma, 22-24 novembre 2001

Un museo, qualunque museo, nel momento in cui apre le porte al primo visitatore si lega al territorio in cui si trova ad operare: può trattarsi di un legame assolutamente semplice motivato dal fatto che si trova in una certa città, in una certa regione, in una certa strada; può essere un legame derivato dal fatto che, statisticamente, il maggior numero di visitatori verrà dalla stessa città o da zone limitrofe; può essere un legame favorito da una strategia per lanciare turisticamente un luogo e tutto ciò che lo rende prezioso e appetibile.
Ma questo è un legame elementare, essenzialmente logistico ed è sicuramente sopravanzato da un rapporto più complesso e attivo che nella maggior parte dei casi unisce il museo (inteso in termini generici, come istituzione) al territorio.
Occorre ora chiedersi che cosa si intenda per territorio quando se ne analizzi l'ampiezza in rapporto al museo.
In questo caso il territorio perde la sua originaria prerogativa spaziale per diventare un contenitore in cui la dimensione geografica si unisce e si potenzia con quella storica.
Il territorio è dunque il luogo fisico e "teorico" in cui il patrimonio conservato nel museo trova le proprie radici e i propri rimandi vuoi di produzione, vuoi di uso, vuoi di provenienza collezionistica, vuoi di significati sociali e culturali.
Il territorio è anche il luogo simbolico entro cui si attenua il senso di spaesamento di cui gli oggetti collocati nei musei soffrono. Il rimando alla comunità e alla cultura che aveva voluto, realizzato, posseduto un oggetto, ricolloca lo stesso nel contesto, senza il quale, va perduta ogni relazione espressiva e comunicativa con ciò che gli era, in origine, prossimo e ineludibile e che contribuiva a formarne il senso stesso.
E se questo senso di spaesamento e di perdita di senso può essere più o meno evidente nei musei d'arte e di storia, diventa totalmente percepibile nei musei ecclesiastici.
Infatti in questi luoghi pale d'altare, paramenti tessili, pissidi, ex voto (solo per fare alcuni esempi) rischiano di essere condannati a un totale mutismo, raramente mitigato dalla espressività della qualità estetica e artistica dei manufatti: un mutismo derivato dalla perdita del senso e del rito liturgico per cui quei manufatti erano stati creati.
Una pala d'altare non è solamente il risultato della cultura e dell'abilità del pittore, o della generosità e della qualità intellettuale del committente, o della potenza e ricchezza dell'ordine monastico o della chiesa per la quale era stata concepita e nella quale poi collocata. Una pala d'altare è anche il frutto di una fitta rete di rimandi simbolici a un culto, rimandi che vanno persi al di fuori della chiesa, al di fuori della partecipazione e della ricezione dei fedeli, al di fuori di un vocabolario espressivo condiviso dalla comunità per la quale era stata creata e dalla quale era stata pregata.
Ma il rapporto tra territorio e museo è anche di segno opposto: è un rapporto che potremmo definire di mutuo soccorso.
Infatti, la incomprensione di un sistema di riferimenti che inglobano tanto i manufatti più modesti e artigianali quanto i singoli capolavori artistici porta inevitabilmente al decadimento e alla dispersione sul territorio del patrimonio non musealizzato e all'isolamento dei singoli manufatti di maggior pregio sui quali si concentra l'attenzione, ma al costo di una loro valutazione in termini meramente estetici o economici, estraniandoli dal contesto religioso che dava loro senso.
Così l'eredità dei modi e manufatti attraverso cui, nel passato, si è manifestata la fede cristiana rimane affidata alla buona volontà dei singoli fedeli o sacerdoti e l'esito finale è molto spesso un impoverimento progressivo dei segni culturali e religiosi sul territorio e la sottrazione più o meno consensuale alle comunità dei manufatti di maggior pregio al fine di una migliore conservazione. Quando pure non si abbia una spoliazione sistematica per furto o devastazione.
Ecco che allora il "territorio" da luogo destinato ad attenuare il senso di spaesamento degli oggetti musealizzati, diventa , in un rapporto invertito, lo spazio non solo fisico ma anche culturale da proteggere, da valorizzare, da tutelare. E di questo si fa allora carico il museo, attraverso il suo percorso, attraverso le sue attività, attraverso i suoi servizi: rimando costante al patrimonio esistente fuori dalle sue mura.
Dunque, di questo rapporto di duplice scambio museo - territorio è a mio avviso importante tenere conto nell'elaborare un progetto museologico, e nel nostro caso un progetto museologico per il patrimonio diocesano.
Andando infatti ad analizzare l'esposizione museale di manufatti legati alla tradizione religiosa, emerge che questa, per essere efficace, deve da un lato parlare ai credenti d'oggi riallacciando la loro fede alla memoria dei modi di espressione della stessa nel passato così da mantenere vitale la tradizione; d'altro lato deve favorire anche nei non credenti il rispetto della medesima tradizione attraverso l'acquisizione della consapevolezza dell'importanza di questa per la storia civile e l'identità culturale.
In altri termini, si configura un museo che intende narrare una storia a chiunque voglia ascoltarla, a ogni tipo di visitatore: a chi ricerca una conferma, anche solo estetica, a ciò che già conosce e possiede; a chi ha perso familiarità con il senso di rituali e forme; a chi si accosta alle manifestazioni liturgiche del cattolicesimo con la sola intenzione di comprendere ciò che è e rimarrà estraneo in termini di fede. Con questo progetto di arrivare a utenze diverse, si tende a raggiungere anche un altro obiettivo: quello appunto di ridare agli oggetti esposti il proprio senso, il proprio valore sintattico in un discorso ricco e articolato.
In un simile progetto museale, dunque, il far riferimento a un territorio ben definito cui rinviano per l'origine e la loro storia precedente gli oggetti esposti, diventa esigenza preminente.
Oggetti però che se pure hanno un riconoscibile "timbro" territoriale elaborano localmente una cultura -teologica in primis- che si propone come cattolica, cioè universale.
Da questa relazione che si instaura di reciproca interdipendenza tra il museo e il territorio, consegue il rimando continuo fra cultura particolare e generale, così come fra "alta" e "bassa"; fra sollecitazioni per via gerarchica e rielaborazioni diffuse e contrassegnate dalle vicende locali, diffusione ben espressa nella serialità manifesta degli oggetti.
La serialità è infatti una frequente caratteristica dei musei religiosi: serialità di oggetti di devozione privata e di oggetti liturgici che raccontano una quotidianità e una diffusione capillare di culto e di fede.
Sul tema della serialità torneremo anche in seguito: basti qui accennare che proprio la sottolineatura espositiva della serialità degli oggetti diventa necessaria per richiamare il valore d'uso degli oggetti stessi, valore che sopravanza e, potremmo dire, incorpora quello estetico. Proprio la serialità consente infatti di rendere comprensibile quel cammino nella tradizione della fede che si è manifestata nella comunità locale e permette di apprezzare ,nella sua diffusione e durata, una tradizione culturale -a partire dai suoi fondamenti teologici- che ha segnato e continua in tanti modi ancora oggi a definire una società e un territorio.
Anche la serialità dunque può essere strumento del Museo che si proietta e rinvia al territorio- come precedentemente già accennato- in un duplice modo.
Innanzitutto poiché il Museo rispecchia le caratteristiche del territorio stesso e le rende più comprensibili in maniera non isolata e casuale; in secondo luogo, poiché il museo è esso stesso nodo di una rete di riferimenti che si distende sul territorio, punto di partenza per percorsi che sul territorio si irradiano e al museo al tempo stesso rinviano , rendendo il museo stesso più leggibile e comprensibile.

Quando, nel 1997, Cesare Mozzarelli ed io fummo incaricati dalla Diocesi di Bergamo
di progettare il nuovo museo diocesano- inaugurato nel 2000-, partimmo dalle considerazioni e riflessioni che ho fino qui esposte per iniziare a organizzare i materiali e soprattutto per immaginare e costruire il suo rapporto con il territorio della Diocesi.
Il Museo Adriano Bernareggi Diocesi di Bergamo nasce dalle collezioni raccolte dal vescovo Bernareggi nella prima metà del XX secolo per proteggere un patrimonio destinato a diventare sempre più fragile e esposto a furti e mutilazioni; le collezioni furono arricchite da successive donazioni da parte di parroci e famiglie della diocesi e oggi esse rappresentano in modo preponderante la cultura dei secoli XVI -XIX, ovvero gli esiti profondi e di lunga durata della rievangelizzazione tridentina nell'ambito bergamasco .
Il Palazzo Bassi Rathgeb di via Pignolo, sede del museo per lascito testamentario, la cui struttura originale risale alla fine del XV secolo, ha mantenuto l'assetto e la distribuzione di una struttura abitativa e su questa andamento di locali che si susseguono si è sviluppato il percorso museale.
Il primo problema che dovemmo affrontare fu il criterio con cui scegliere gli oggetti e , successivamente, sistemarli secondo un percorso di senso, di cui ho precedentemente parlato. Valutammo dunque di lavorare su due opposti, la serialità e la eccezionalità.: opposti che ci hanno consentito di delineare lo spazio anche teorico entro cui sistemare manufatti tra loro disomogenei per tipologia, materiali e uso, oppure ripetitivi, oppure discordanti per la loro differente resa estetica.
In effetti, più che di due opposti è più corretto parlare di due aspetti della stessa devozione: con la serialità si è voluto evidenziare la forza e la capillarità della diffusione di un archetipo iconico, rituale, simbolico relativo all'espressione della fede. Non è quindi il singolo paramento, il singolo calice, la singola immagine del santo a diventare l'artefice del racconto, quanto la ripetuta, monotona presenza di paramenti, di calici, di immagini dello stesso santo che, nell'apparente appiattimento della serie trova lo strumento per palesare il senso dell'insegnamento attraverso modelli riconosciuti come tali dalla comunità e per questo perpetrati.
Nella eccezionalità abbiamo voluto evidenziare l'altra strada scelta dalla Chiesa per comunicare il divino: non attraverso l'insegnamento quotidiano e reiterato, ma attraverso la bellezza e la luminosità materica dell'opera d'arte. L'esteriore ornamento delle sacre suppellettili diventa lo strumento per rendere omaggio a Dio solennemente con un tributo di tutto ciò che di "più prezioso Dio ha concesso alla natura di fornire e all'uomo di perfezionare", come scriveva Panofsky a proposito della ricchezza dell'Abbazia di Saint Denis.
E la comunità della diocesi di Bergamo ha espresso in entrambi questi modi la propria fede.
In termini di allestimento, a seguito di queste riflessioni, si è scelto di organizzare il racconto del museo per temi: temi in grado di percorrere le tappe fondamentali del programma liturgico della Chiesa della Controriforma e del percorso di fede della comunità ( come ho già accennato, le raccolte non potevano riguardare e illustrare tutta la storia della Chiesa a Bergamo, ma essenzialmente i secoli che stanno tra il Concilio di Trento e il Vaticano II).
I temi che abbiamo individuato sono sembrati quelli più adatti a rispettare e valorizzare il portato documentario degli oggetti in una equilibrata convivenza dei capolavori con gli oggetti d'uso quotidiano: a ciascuno di essi è attribuito il valore di un paragrafo all'interno di una stessa pagina.
Anche la parola, la parola scritta è stata considerata un elemento del patrimonio da conservare, conoscere, capire: a questo scopo, negli ambienti che introducono i differenti temi, sono state "allestite" (serigrafate su pannelli a parete) frasi tratte dai testi della Controriforma che affrontano, sistemano e codificano quelle manifestazioni della fede e quelle forme della devozione di cui gli oggetti del Museo sono testimoni.
I temi prescelti sono: l'altare; l'anno liturgico; la processione dei santi; l'iconografia dei santi; l'iconografia della Vergine; l'iconografia di Cristo e della Croce; la quotidianità del sacro; la processione degli stendardi delle confraternite; la serialità; l'eccezionalità; il territorio.

L'altare
L'altare diventa nell'impianto museale il punto di partenza della narrazione attraverso il messaggio teologico incentrato sulla mensa e l'uso liturgico dei suoi arredi. Diventa il luogo della sintesi in cui vengono introdotti alcuni elementi basilari della Controriforma: l'incentrarsi della liturgia sul mistero eucaristico; la omologazione e la disciplina delle manifestazioni della liturgia; la ricerca di uniformità degli apparati degli oggetti rituali; l'efficacia della comunicazione della pittura sacra postridentina.

L'anno liturgico
Con l'anno liturgico si è inteso presentare l'avvicendarsi dei Misteri e dei tempi liturgici nella quotidianità del culto e nella partecipazione della comunità. Si è quindi scelto di utilizzare i colori dei paramenti esposti per indicare questo passaggio del tempo: erano infatti i colori a indicare ai fedeli durante le cerimonie il "luogo" e il "momento" mistico e temporale in cui si trovavano; colori ai quali era attribuito e riconosciuto un esplicito valore simbolico e il ruolo di accendere la memoria e la devozione.

La processione dei santi
Con la schiera di statue di santi ordinate come in una processione rivolta verso una tela rappresentante la Trinità, si è inteso suggerire due livelli di lettura: l'una indica il ruolo dei santi quali intercessori e esempi di virtù cristiane offerti al popolo dei fedeli, ruolo ribadito dal concilio di Trento; l'altro sottolinea l'umanità della devozione popolare quotidiana verso i santi, protettori contro le malattie, le epidemie, gli eventi naturali. Devozione e credenza popolare su cui si impostava anche il calendario degli appuntamenti e degli avvenimenti legati al lavoro, alla vita sociale e familiare durante tutto l'anno.

L'iconografia dei santi
La riproduzione seriale dell'iconografia dei santi per rispondere alle richieste della devozione popolare è certamente una delle manifestazioni più evidenti e diffuse della religione cattolica: si è quindi voluto alludere a questa produzione sovrabbondante affiancando in uno stesso ambiente una moltitudine di santi dipinti, esponendo anche più rappresentazioni dello stesso personaggio, senza privilegiare criteri artistici o di scuola, con lo scopo di sottolineare la esplicita qualità di comunicazione degli attributi raffigurati che indicavano al fedele, senza problemi di comprensione, il santo raffigurato. Il risultato è una galleria di exempla virtutis nella tradizione dei repertori di immagini che venivano consegnati dalla Chiesa alla comunità (sotto forma di opere pittoriche ma anche di più semplici "santini") affinché il messaggio educativo fosse continuamente rinnovato e recepito.

L'iconografia della Vergine
Il culto mariano è particolarmente sentito e diffuso nel territorio bergamasco: si è quindi scelto di esporre le più importanti e popolari iconografie della Madonna presenti nella Diocesi, disponendo le immagini secondo un ritmo che rimanda alla recita del Rosario e agli attributi con cui la Vergine è invocata.

L'iconografia di Cristo e della Croce
Con l'iconografia di Cristo si conclude il percorso iconografico: percorso che è stato motivato dalla difficile comprensione da parte della comunità della complessa macchina di attributi, di rimandi alle Sacre Scritture, di riferimenti a miracoli e a eventi legati anche a singole realtà territoriali che sottende queste rappresentazioni; rappresentazioni in cui simboli ancora comprensibili per i fedeli fino ad alcuni decenni fa, rimangono ora muti e inaccessibili sia a una fruizione all'interno della stessa comunità sia in una più vasta prospettiva. Il percorso intende quindi offrire da una parte spunti di riflessione, dall'altra strumenti per accedere al senso della comunicazione iconografica.

La quotidianità del sacro
Con questa definizione si è inteso indicare in sintesi le molteplici manifestazioni della devozione espresse in ambito domestico e a questo ispirate. Una produzione che assume differenti sfaccettature e si traduce in altrettante opere.
Questa parte del percorso si snoda attraverso il ritratto devoto, esplicita dichiarazione di appartenenza alla comunità religiosa e insieme autorevole forma di ringraziamento a Colui che governa le sorti dell'uomo. Si inoltra poi nel racconto devoto, quel racconto di storie della vita di Cristo e della Vergine in cui atteggiamenti e episodi riconducibili a una forte immagine familiare - dalle rappresentazioni agresti della fuga in Egitto e della Sacra Famiglia al trapasso di San Giuseppe- prendono il sopravvento sulla lezione dei Vangeli. Infine la presenza della morte nella vita del fedele diventa il filo rosso che ricuce le forti espressioni di devozione presenti in numero significativo sul territorio bergamasco: dalle danze macabre agli stendardi del memento mori, dalle cappelle del suffragio dedicate alle anime purganti a quelle dedicate ai morti di peste. In questo ambito, la devozione popolare crea immagini ricche di suggestione e di forza di impatto intimamente legate al territorio, i cui accadimenti diventano declinazioni di un racconto universale e atemporale.

La processione degli stendardi confraternali
Con l'esposizione sotto forma di processione degli stendardi delle confraternite si intende chiudere il tema della devozione popolare inserita anche nella vita quotidiana e sociale: le confraternite hanno infatti rappresentato un punto di riferimento nella organizzazione delle comunità dei fedeli e gli stendardi processionali ne hanno siglato, con la loro ricchezza più o meno esibita, il grado di floridezza e di importanza. Questa processione fa da contrappunto alla precedente processione dei santi: dove là l'incedere delle statue dei santi introduceva all'imitazione di Cristo e al valore di exemplum a loro attribuito dalla Chiesa, qui la sequenza di stendardi dichiara la adesione tutta terrena della comunità a un percorso di fede.

La serialità
La serialità è una delle linee guida su cui si articola il museo: una ripetizione di oggetti tra loro simili se non uguali che testimoniano la condivisione di gesti e di riti; una assenza di dettagli e di elementi qualificanti (un bel decoro, un materiale prezioso …)che rendono gli oggetti portatori di senso piuttosto che di forme. Lungo il percorso si è ritenuto utile mostrare esplicitamente in che modo si può manifestare la serialità e come la diffusione indifferenziata e monotona di pezzi simili ne avvalori l’uso e il possesso nella comunità. Sono quindi esposte serie di oggetti di uso liturgico e di devozione privata( serie di medagliette battesimali, serie di acquasantini, serie di paci, serie di manichini in legno da vestire con abiti e attributi legati al culto della Vergine). Una sintetica scelta di ex-voto introduce al tema della serialità della devozione come strumento anche di impulso all’economia locale, tema che sarà trattato più approfonditamente nell’Oratorio di San Lupo, sezione esterna del museo esclusivamente dedicato agli ex-voto.

L‘eccezionalità
Seconda linea guida del museo è l’eccezionalità: la Chiesa ha fatto dell’oggetto straordinario- tale per la preziosità dei materiali adoperati, per l’artista incaricato di eseguirlo, per la grandiosità dell’apparato decorativo- uno strumento di comunicazione sapientemente articolato su molteplici piani e altrettanti sentimenti. Lo splendore dell’oro e delle pietre preziose può far avvicinare, in maniera imperfetta e terrena, allo splendore di Dio; può rappresentare il degno mezzo per rendere grazie a Dio; può anche confortare la comunità dei fedeli a cui l’oggetto prezioso appartiene, dalle miserie della vita quotidiana. L’oggetto “bello”- e questa volta alla bellezza viene riconosciuto un valore carismatico- è stato dunque considerato funzionale al messaggio di fede e al percorso dei fedeli: il museo Bernareggi vuole offrire ai visitatori l’opportunità di porsi di fronte a questo aspetto delle manifestazioni della devozione, presentando oggetti (suppellettili sacre, paramenti, dipinti) in grado di completare, appunto con la propria eccezionalità, il percorso attraverso le forme e la forma della Chiesa post tridentina.

Il territorio
La struttura del museo, la sua articolazione per temi e gli strumenti di cui si avvale , poggiano sulla consapevolezza che questo è il luogo di sistemazione e di sintesi di percorsi di fede, cultuali, intellettuali e artistici che hanno il loro naturale, articolato e conclusivo andamento nel territorio. E’ il punto di sosta e di orientamento per tappe successive e individuali di itinerari sia geografici sia di approfondimento e di comprensione, alla scoperta o riscoperta di “luoghi”(fisici e teorici) nascosti o solamente dimenticati. La prima e l’ultima sala che il visitatore del museo percorre aprono infatti strade- anche con l’aiuto di filmati- che escono dal museo e conducono nella diocesi: in questi ambienti si è voluto suggerire rimandi alla storia della diocesi e al suo intrecciarsi con la crescita della città e con i cambiamenti del territorio. Inoltre su ciascun piano del museo all’inizio del percorso, a fianco del pannello di orientamento che indica i temi trattati nelle sale di quel livello, è collocata una postazione multimediale attraverso la quale il visitatore può selezionare luoghi, opere, eventi- presenti sul territorio della diocesi, strettamente connessi con i temi trattati al piano.

In conclusione, il progetto Museo Adriano Bernareggi Diocesi Bergamo si propone la valorizzazione di quello che potremmo definire un “metamuseo”: un museo che, per ceri versi, cede la sua prerogativa di luogo fisico, circoscritto di conservazione, in favore della sua missione di tutela della conoscenza. Per la realizzazione di questo progetto sono stati lanciati ponti con altri luoghi, presenti sul territorio, in cui si conservano e si espongono materiali e raccolte in grado di integrare il racconto introdotto e organizzato nelle sale del museo bergamasco. L’idea fondante è che in un sistema integrato di beni e di servizi, il patrimonio della diocesi esprima a pieno la sua qualità e la sua ricchezza: e i termini patrimonio e ricchezza sono qui intesi nella accezione più ampia, materiale e spirituale.